Ciao sono Paolo e mi sono innamorato al The Stage. Pare di essere a New York, ma al posto di Times Square scendi giù e sei in Piazza Gae Aulenti a Milano.
Mi sono svegliato con quella voglia di New York che sa di bagel al salmone e formaggio morbido, di lunghi caffè bevuti per strada, di vapore compresso che fischia dai tombini. Quella New York che ti schiaffeggia di gelo le guance, che per sopravvivere ti butti nel primo pub a caso sulla strada e ti accorgi subito che è proprio quello giusto.
Quello dove incontrerai la persona giusta, appoggiata al bancone del bar, dalla parte opposta alla tua. Vi guarderete di soppiatto, camuffando momenti di imbarazzo con gesti assurdi, e magari dopo ci scapperà pure un sorriso. Sempre sorridendo ti alzerai, goffo come non sei mai stato prima, e scalerai di tre o quattro sgabelli, uno alla volta, impacciato come quando alle elementari odiavi sentire addosso gli occhi delle persone durante l’appello e usciva il tuo nome.
Fianco a fianco ti getterai a capofitto nell’impresa coraggiosa di entrare nell’universo parallelo di chi ti siede accanto, di solcare quel limite invalicabile dell’essere estranei. Con voce rotta in recupero asmatico – “Ciao, cosa bevi?” – realizzando istantaneamente che hai toccato il punto massimo della tua carriera da sfigato, superandolo in un attimo – “te ne posso offrire un altro?” – Sempre peggio, sei davvero un coglione.
Ma è proprio lì, nel tuo superarti – come quando il film è talmente brutto che diventa cult – che lei ti guarda e ti apre il mondo. Così comincia l’amore, o quello che mi auguro che sia. E New York non c’entra nulla.