Il tempio dell’arte contemporanea di Milano ha sede presso la galleria Lia Rumma. Da qui sono passati i grandi artisti Marina Abramović, Andreas Gursky, Gino de Dominicis e giovani talenti italiani come Luca Monterastelli. Lo spazio espositivo in via Stilicone a Milano si sviluppa su quattro livelli e oggi porta in scena Reinhard Mucha con la sua personale “Schneller werden ohne Zeitverlust” (Accelerare senza perdere tempo).
Il rapporto dell’artista con la galleria è di lunga data, risalendo esattamente al 1989, anno in cui presentò la sua prima personale “Mutterseelenallein” (Solitudine) presso la sede di Napoli della galleria stessa. Un insieme di eventi e vicissitudini che da molti anni lega l’artista all’Italia.
Le opere architettoniche dell’artista uniscono scale, vetri, specchi, feltro e legno: elementi diversi assemblati in modo geometrico che danno vita a opere fredde e isolate. Avvicinandosi lo spettatore scopre una genesi articolata di strati densi di materia.
All’interno della mostra si trovano “grandi contenitori” in cui vengono ricreate immobili porzioni di realtà e di quotidianità, ognuna con un racconto unico. Una rappresentazione che con la sua precisione e impersonalità, trasmette a volte un’estraniazione dagli oggetti stessi che trasportano in realtà parallele in costante mutamento. Sono opere che immediatamente trasmettono la loro potenza con sofisticatezza ed eleganza.
La forza dei suoi lavori la potrete visionare subito al piano terra dove è collocata un’opera composta da tegole antiche che giacciono sul pavimento, distribuite in modo ordinato su un letto di detriti. Il senso del dramma e della memoria che si uniscono in una riflessione profonda.
In mostra è presente anche il film inedito “Hidden Tracks” e una serie di nuove opere realizzate dall’artista nel corso degli anni. La ricerca di Mucha fa riferimento alla Minimal Art, al Postminimalismo, all’architettura e al design.
“Vendere un’opera d’arte è vendere un’idea. Ma un’idea bisogna elaborarla, coltivarla, farla propria e soprattutto amarla alla follia”.
Photo credit: Agostino Osio