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Interviste

Londra, Milano e Mixology: l’intervista a Ennio Lettera

Quattro chiacchiere con l'alchimista della miscelazione e proprietario del Kilburn di Porta Venezia

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Se ve lo state chiedendo, a far materializzare un angolo di Inghilterra a Milano è stato Ennio Lettera. Solo 26 anni sulle spalle, – ma come si dice, l’età non conta -, una laurea in design e fotografia in background e tanta voglia di stupire usando come armi drink e fantasia. La sua casa è il Kilburnun cocktail bar che sa di un’audace sperimentazione concentrata in quattro mura dal gusto British. Qui, dietro un grande bancone in legno, dà sfogo alle sue abilità di mixologist, che trovano terreno fertile in Porta Venezia.

Infatti, che il quartiere sia un crocevia di ecletticità e ricercatezza è risaputo; e mentre il fermento incorniciato tra architetture in stile liberty e chiazze di verde lo fa rientrare tra i più vivaci di Milano, le sue strade ospitano – ormai già da tempo -, le radici dell’arte della miscelazione, generando un fitto panorama di veri e propri templi del bere sparsi per gli isolati.

In questo mare magnum di offerte, – tra storiche istituzioni, speakeasy, locali curiosi e insoliti -, Ennio e il Kilburn hanno particolarmente attirato la nostra attenzione: così, abbiamo voluto intervistarlo per conoscere meglio il suo mondo. Ecco com’è andata.

Come nasce Kilburn?

Eh bella domanda! Considerando che ho aperto il Kilburn a 23 anni, direi che è nato dal mix di un po’ di voglia di strafare, tanta incoscienza e tanta inconsapevolezza. Quando lavoravo nei pub a Londra, cercavo sempre di mettere del mio nelle cose che facevo, ma molte volte venivo bloccato dai Manager e questa cosa non mi andava proprio giù. E allora ho detto: sai che vi dico? Apro il mio locale e faccio quello che voglio! E così fu.

Kilburn è più Londra o più Milano?

Sinceramente, aggiungerei anche Napoli. Dico sempre che il Kilburn è il mio riflesso, di conseguenza è Napoli nell’approccio con i clienti, Milano nella cura del dettaglio e l’attenzione alla qualità, ed è Londra in tutto il resto: colori, arredi, design, atmosfera, profumi e soprattutto formazione. In fondo questo lavoro l’ho imparato proprio lì!

Quali sono gli ingredienti per diventare un bravo mixologist?

Io non so se sono un bravo mixologist, ma secondo il mio punto di vista ci vuole  fantasia e creatività nel mettere anche ingredienti semplici per creare qualcosa di unico; la conoscenza di qualsiasi cosa per non avere limiti nel momento della miscelazione; e infine direi l’umiltà di capire quando un cocktail non è uscito bene, e riprovare all’infinito finché non è perfetto!

Se dovessi scegliere un cocktail che ti rappresenta, quale sarebbe?

Sicuramente l’Ossimora. È, a mio parere, il cocktail più buono che ho creato. Ricco di contrasti, prima morbido, poi secco, poi erbaceo, poi fruttato, poi amaro ma tutti perfettamente bilanciati. Mi rispecchia molto. Sono un po’ incasinato anche nella vita, ma so bene quello che faccio!

Come nascono i vostri drink? Chi o cosa vi ispira?

Sinceramente, non lo so! Parto sempre da un ingrediente, e cerco poi di fare dei collegamenti strani basati su persone, cose o momenti della mia vita. Non mi piace molto rispettare regole e parametri particolari. Come ti dicevo prima, io faccio quello che mi passa per la mente, poi però so rendermi conto se ho creato qualcosa di buono o no. L’importante è esserne consapevoli!

Un buon cocktail quale senso deve colpire prima: vista, gusto o olfatto?

Se dovessi fare una classifica, la prima cosa che a me interessa è il gusto. Mi puoi dare il bicchiere più bello del mondo, ma se il cocktail non è buono, avrò sempre in mente di aver bevuto un cocktail non buono. Ma se il cocktail è buono, ed è anche bello, e addirittura anche profumato, allora lì è una combo vincente.

Cosa pensi dell’attuale panorama della miscelazione a Milano?

Penso che a confronto di qualche anno fa, le persone stiano finalmente iniziando ad apprezzare la vera qualità dei cocktail, ma c’è ancora tanta strada da fare. E la responsabilità è proprio di noi barman. Dobbiamo essere coraggiosi a proporre anche cose contro mercato, far assaggiare le cose veramente buone e portarli ad apprezzare il “Bere Bene”. Molti cocktail bar, anche famosi, e lo dico senza problemi, fanno molto fumo, e niente arrosto!

Nel tuo campo vale di più la base teorica/tecnica o l’estro creativo-artistico?

Sono assolutamente contro coloro che si mettono dietro al bancone e iniziano a ripetere a pappardella le varie cose imparate ai corsi. La mixology è un lavoro così creativo e fantasioso che è impossibile rimanere attaccato a delle regole. Le basi ovviamente servono, ma poi vanno totalmente stravolte.

Nella vostra drink list c’è un cocktail che potrebbe essere considerato il simbolo per eccellenza del locale?

Certo che sì. Tutti! I Kilburn cocktail sono così diversi tra di loro, che proprio la loro unione li rende simbolo per eccellenza del locale.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

La cosa più bella è la soddisfazione di vedere le persone contente quando escono dal Kilburn, che ti salutano con un sorriso. Ricevere il consenso sul proprio lavoro, è sicuramente la forza che ti porta ad andare avanti e fare sempre di più.

I tuoi tre locali preferiti a Milano?

Te lo dico già, a tre non ci arriviamo (ndr. ride). I miei locali preferiti sono tutti a Londra. I cocktail bar di Milano non rispecchiano molto la mia filosofia del Bere. L’unico posto dove torno spesso con piacere, per la location, per l’accoglienza e la qualità, è sicuramente il Ceresio 7.

Grazie mille e in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti futuri dalla redazione di Flawless Milano!

 

Nota dell’editore: è con orgoglio che ti informiamo che questo articolo è sponsorizzato da Kilburn e promosso da FLAWLESS.life . Ti ringraziamo per supportare gli sponsor che rendono Flawless Milano possibile. 

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