“Sem ammò al camp di cènt pertigh!”, diceva sempre mio nonno ai suoi aiutanti contadini. Detto meneghino che di sicuro avrete sentito dire almeno una volta dai vostri nonni o dagli anziani del quartiere. E se anche non fosse così (niente nonni, siete milanesi d’adozione e non di fatto, oppure perché non lo siete affatto) non importa, voi di curiosità ne avete da vendere e di quel detto avete cercato in lungo e in largo origine e significato. È diventato persino il vostro grattacapo. Finché un bel giorno non lo avete trovato. “E dove?” vi starete chiedendo.
Udite, udite, signore e signori! Segnate in agenda o direttamente nel navigatore: quel campo, che misura ben cento pertiche, si trova a Carate Brianza, lungo il viale Trento e Triste, al civico 63. Siete a Caràa, in dialetto brianzolo, al ristorante Camp di Cent Pertigh. Una distesa di campi raggiunge l’orizzonte davanti a voi, i vostri occhi si perdono in una variazione di smeraldi e ori preziosi. Boschi di carpini, querce, olmi e platani delimitano e indicano l’ingresso: vi trovate dentro al Parco della Valle del Lambro, in una vecchia cascina isolata, dove ora si fa ristorazione.
Il passato è contadino, oltre a essere il fil rouge del ristorante Camp di Cent Pertigh: una cucina italiana regionale, spiccatamente lombarda, firmata dallo chef Silvano Zappa e dal suo sous-chef Daniele Caleffi, propone piatti locali e stagionali per riscoprire vecchi profumi e tutto il sapore della tradizione. Una carta dei vini rimembra storie di vincitori e vinti, con etichette italiane, europee, d’oltreoceano e dell’altro emisfero. Gli arredi, interni ed esterni, sottolineano il taglio agreste del locale, tra vecchi tavoli in legno, balle di fieno, sedute impagliate, fiori di campo, lino, cotone, finissime porcellane dipinte a mano, alzate e servizi da caffetteria in metalli ormai caduti in disuso.
E il servizio? A cinque stelle: impeccabile e che non si scorda mai. Omaggio culinario della casa in apertura, bicchieri rabboccati, precedenza alle signore, giusta riverenza e attenzione quanto basta. Seguiti passo passo e assecondati in ogni desiderio e ambizione. Comodamente seduti nel cortile interno del ristorante su balle di fieno, fornite di cuscino in cotone misto iuta per favorirne la seduta, vi starete accorgendo che detti e dialetto fanno da padrone. Riflessi di luce di candele illuminano non solo i vostri volti ma anche un menù che narra storie di cibo, di vino, di uomini e donne che, in un campo di cento pertiche hanno vissuto, creduto e investito.